Cristianesimo e comunismo
La condanna dottrinale crea l’antitesi fra il Cristianesimo e il comunismo: ma nessun comunista intelligente e retto s’illuse mai che la sua concezione materialista della vita e della storia, sia pure con l’intenzione di far meno infelice l’uomo, potesse essere sopportata dalla Chiesa. Ma la condanna – e lo ricordino i massimalisti e gli zeloti – non va più in là, conglobando, come pare che molti facciano, nello stesso giudizio di riprovazione, la sete di giustizia che muove il comunismo e il suo lodevole sforzo verso un riordinamento sociale.
L’urto si profila quando dei cristiani, invece di leggere la condanna come una regola di orientamento a un’azione sociale veramente cristiana, si riparano dietro le encicliche e i messaggi, per disimpegnarsi e per continuare a sparare contro il “nemico” invece di superarlo, costruendo sulla roccia invece che sulla sabbia. L’edificare sulla sabbia è un infelice mestiere: ma io credo che tra coloro che disponendo della roccia non scavano fondamenta né alzano un muro, paghi di magnificare la saldezza del loro terreno, e coloro che in qualche maniera s’adoperano a costruire sia pure su terreno friabile, siano preferibili questi ultimi. Sono almeno uomini di buona volontà, che non seppelliscono il talento. La verità, che si compiace di contemplarsi, è come la fede senza opere, cosa morta: e anche i poveri finiranno per preferire un errore che si adopera in loro favore a una verità che non s’accorge di essi.
Impegni cristiani, istanze comuniste [1945], ora in Il coraggio del confronto e del dialogo, Edizioni Dehoniane, Bologna 1979
Siamo tutti prodighi
Ma ditemi un po’ che strade dobbiamo fare, e attraverso quali lezioni od esperienze bisogna passare per arrivare a comprendere che bisogna ritornare a casa nostra? Seguite la storia del “prodigo” come ce la racconta la parabola, e come ho cercato, nelle domeniche precedenti, di presentarla. È venuta la povertà, è venuta la miseria, è venuta l’indigenza, è venuto l’abbandono, è venuta la fame… Son tutte delle disgrazie, siamo completamente d’accordo! Il Signore non ce le ha mandate; siamo noi che ce le siamo procurate. Eppure, vedete, il Signore in questi guai fabbricati da noi ha messo, che cosa? la possibilità del nostro ricupero, del capire qualche cosa.
Se noi dovessimo vedere certe sventure della nostra vita in questa luce di carità del Signore, come le considereremmo con altri occhi, e come saremmo più pronti a riconoscere la mano del Signore che, attraverso strade che non sono molto desiderabili, ci ricompone, ci riconduce sulla strada buona: ci riconduce prima di tutto dentro di noi stessi, e poi ci porta a ritrovare il bisogno di Lui. Del resto, per quanto la nostra esperienza possa essere scarsa in proposito – e mi riferisco soprattutto ai giovani -, ognuno di noi ha avuto occasione di benedire certe disgrazie, certe cose che non sono andate bene, certi disastri anche materiali, che ci sono capitati.
Abbiamo potuto vedere fino in fondo alle nostre illusioni. Ci siamo disincantati. Non ci fu bisogno che qualcheduno ci facesse la predica: ce la facciamo da noi stessi, la predica. E la vita che ci. fa la predica! È l’esperienza che ci fa la predica.
Discorsi, Edizioni Dehoniane, Bologna 1978